Violenza ed emergenza Covid 19, Pangea scrive alla ministra Bonetti

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Gentile Ministra Bonetti, Le scrivo dopo aver essermi consultata con le esponenti dei centri antiviolenza e delle associazioni e le donne che fanno parte della Rete Reama sulla prevenzione e messa in protezione dalla violenza maschile agite sulle donne in questo periodo di COVID19. Come lei stessa sa, in questo momento la solitudine delle donne viene ulteriormente amplificata dalla costrizione per ragione di salute e sicurezza pubblica di dover stare a casa costringendole a condividere la vita con un uomo violento: il fratello, il padre, il marito, il compagno, il nonno, chiunque esso sia. Le vie di fuga per affrontare la violenza in questi tempi sono ristrette. I centri antiviolenza, le case rifugio, i gruppi di mutuo aiuto e tutti gli sportelli fisici ed online svolgono un lavoro determinante per interrompere il circuito della violenza. Nessuna delle realtà della rete REAMA ha sospeso l’attività sebbene si siano poste nella condizione di rispettare le norme precauzionali per evitare il contagio. E allora è tempo di interrogarci, cosa che noi come Pangea rete Reama abbiamo fatto. La pandemia Covid-19 ha modificato il nostro di lavorare? si. Come? Affidando all’etere tutto quello che è accoglienza ed ascolto empatico tra donne, che è la base di una relazione di fiducia da persona a persona, da donna a donna. In pratica è stato incentivato l’uso della tecnologia, facendo colloqui con le donne che chiamano e chiedono sostegno via cavo, via social con chat su whatapp, skype, telegram, google duo, via email. Oggi l’ascolto, le informazioni, il conforto, le sedute psicologiche, le consulenze legali, avvengono via etere quando è possibile ovvero quando il violento non è in casa. È evidente che non è la stessa cosa: la relazione empatica, la fiducia è molto più difficile da costruire come è molto più difficile dare risposte e costruire un percorso di uscita dalla violenza. Tutto viene rallentato e le donne sono provate, sfiduciate, molte di coloro che vivono violenza pertanto rimangono più di prima nel sommerso perché incerte del loro futuro. Non sempre si riesce a garantire in caso di necessità il trasferimento in case rifugio, vuoi perché sono già piene, vuoi perché si deve prevenire il contagio, e su questo tema alcuni centri e case si sono organizzati o si stanno organizzando, altri rimangono invece sforniti di possibilità per mancanza di strutture dove si possa accogliere. Questo Ministra in alcune zone d’Italia è un problema annoso che si acuisce in questo periodo di COVID19. Molto si riesce a fare dove ci sono case di emergenza, dove l’ospitalità va dalle 72 ore a massimo un mese, ma una volta riempite è evidente che non ci sarà più posto per la prossima donna che ne avrà bisogno. Tuttavia l’accoglienza nelle case rifugio e nelle case in semi autonomia risente della mancanza delle direttive da parte delle Asl locali, le quali potrebbe indicare i livelli minimi da tenere presente per evitare la diffusione in questi luoghi del contagio tra le ospiti ed i minori presenti. In realtà attualmente in mancanza di direttive ci si affida al buon senso. Nonostante le nuove disposizioni in tema di attività giudiziaria non abbiano bloccato i procedimenti urgenti quali l’ordine di protezione, la decadenza della responsabilità genitoriale etc., non abbiamo contezza se le forze dell’ordine e la magistratura siano indirizzate in tal senso a tutela delle donne.La realtà che abbiamo raccolto Ministra è di fatto questa: oggi ci sono donne che provano a chiamare per chiedere aiuto chiuse in bagno, mentre i figli chiedono di entrare per paura del padre. Ci sono donne che scrivono un messaggio e poi lo cancellano immediatamente per non farlo leggere al marito che controlla tutto nel cellulare e lui è onnipresente in questi giorni di COVID 19 perché non lavora. Sono più fortunate quelle che invece hanno il marito che è costretto a lavorare, caso mai in un supermercato, nei trasporti pubblici, negli ospedale. Ci sono donne che chiamano mentre lui, il maltrattante, lavora, queste sono le più fortunate! Una donna che lavora nella sanità controlla tutti i turni di lavoro del marito, anche lui occupato nella sanità, per incastrare i suoi in maniera da non incontrarlo mai a casa! L’ultima volta che lo ha incrociato, qualche giorno fa, a casa l’ha riempita di botte, era notte, e lei la mattina è andata a lavoro per non rivederlo anche se il referto le dava una decina di giorni a casa. Ci sono donne arrivate in pronto soccorso a cui hanno tolto il cellulare perché l’ospedale è un centro dedicato COVID, di conseguenza non hanno potuto chiamare i figli, né il centro antiviolenza per farsi aiutare, ora quel centro antiviolenza sta contrattando l’ospedale della zona per lasciare un cellulare da far utilizzare a qualsiasi donna vittima di violenza che sia presa in triage al pronto soccorso. Per quel che riguarda i Pronto Soccorsi ci sarebbe bisogno di direttive esplicite. Molte donne non si rivolgono perché sono consapevoli di non potersi recare in quanto tutti occupati nell’emergenza da COVID 19. In alcuni di questi, sempre per bisogno, hanno utilizzato le stanze dedicate alle donne vittime di violenza, senza che questo sia stato messo in discussione da nessuna parte. Insomma l’emergenza ha interrotto di fatto i protocolli, laddove esistenti con i centri antiviolenza, lasciando ancora una volta le donne allo sbando ed alla mercé della violenza maschile. Ci sono uomini-padri-maltrattanti che non rinunciano, anzi pretendono, il loro diritto di visita dei figli e pretendono che la madre porti loro i bambini, anche perché sul sito del ministero tra le fac vi è in evidenza che il diritto di vista dei padri separati non è sospeso. Infatti, come sa, non vi sono decisioni omogenee in tutta Italia da parte dei tribunali per i minori in presenza di violenza domestica che vietino in questo periodo di contaminazione le visite obbligatorie. La rete delle avvocate ci raccontano che a volte il buon senso li convince a fare video chiamate invece di vedere i figli personalmente e fisicamente ma forse questa dovrebbe essere una disposizione nazionale e non dei rari esempi. In aiuto a queste decisioni sono scesi in campo alcuni medici pediatri che hanno avuto direttamente contatti con i padri per dissuaderli ad esercitare il diritto di visita in maniera tradizionale. Potrei continuare, ma voglio anche dirle che ci sono anche esempi positivi, non va tutto a rotoli ma, come ben sa, non basta lo sforzo del e della singola per prevenire e contrastare la violenza, ancora di più in questo periodo di CODIV 19. Non è sufficiente dire c’è il 1522, ci sono i centri antiviolenza e c’è una rete di persone responsabili, a partire dalle donne. In questo momento la rete REAMA con Fondazione Pangea ha tutte le operatrici sul campo, ci sono 22 associazioni che tra centri antiviolenza e case rifugio e/o emergenza, una rete di avvocate specializzate oltre 19 avvocate specializzate in giro per l’Italia e tante altre associazioni, professioniste, donne che hanno vissuto la violenza e che oggi aiutano le altre sul territorio. Abbiamo due sportelli online a cui rispondiamo poi telefonicamente sul territorio nazionale, uno su tutte le declinazioni di violenza ed uno specifico sulla violenza economica, e tre progetti specifici sul recupero della genitorialità mamma figli. Sappiamo che alcune regioni si sono organizzate rispetto ai centri antiviolenza e le case rifugio, comunque in assenza di direttive nazionali ogni regione si è organizzata a modo suo in ragione dell’emergenza. Riteniamo quindi opportuno suggerire la formazione di una task force, o gruppo d’emergenza, anche online, composto da autorità pubbliche e dalla società civile organizzata che fa parte del Tavolo tecnico sull’antiviolenza, che coinvolga ministeri, regioni e comuni, per elaborare in maniera tempestiva direttive nazionali omogenee per regioni, comuni, distretti sanitari che tengano conto delle specificità territoriali, e si integrino con le attività dei ministero della giustizia e dell’interno, del lavoro, nonché della salute, sui temi della violenza sulle donne. Ad esempio sull’accoglienza, sulla presa in carico in emergenza, sulle visite obbligatorie in favore dei minori e quanto altro sia possibile individuare ed organizzare affinché sia facilitato il lavoro delle donne che lavorano per la prevenzione e il contrasto della violenza, affinché non solo si fermi il contagio del COVID 19 ma sia anche possibile far vivere in sicurezza le donne che rimangono a casa. Tutto questo sarà possibile anche se si assicurerà il finanziamento previsto alle strutture preposte, sia per gli enti pubblici che per i centri antiviolenza, le case rifugio, gli sportelli portati avanti dalle donne e da quanto altro preposto alla prevenzione e al contrasto della violenza. Infine in questo periodo forse le scadenze di bandi debbono essere allungate. Se vogliamo garantire i diritti fondamentali assieme al binomio dell’umanità metteteci nelle condizioni di poterlo fare e non dover essere solo eroine senza nome. Certi del suo interessamento in questo momento, le porgiamo i nostri più cordiali saluti. Fondazione Pangea Onlus Rete Reama di Fondazione Pangea Onlus (elenco in continuo aggiornamento): Avv.ta MariaPia Vigilante Bari Avv.ta Olga Diaspro AVV.ta Cristina Coviello Potenza avv.ta Camilla Zamparini Bologna Avv.ta Rocchina Staiano, Consigliera di Parità di Benevento Avv.ta Valeria Valente Salerno AVV.ta Alessandra Fantin Trieste Avv.ata Franca Mattarozzi Napoli Avv. Patrizia Schiarizza Avv. Milli Virgilio Avv.ta Monica Miserocchi Avv.ta AnnaMaria Marin Centro antiviolenza di Chivasso-torino Ass.Tiziana Vive Milano/Pavia Tiziana Dal Pra Associazione Nosotras Onlus Associazione il giardino segreto Centro antiviolenza Giraffa di Bari Centro antiviolenza Renata Fonte-Lecce Carolina Garrow responsabile centro Anguillara Federica Mangiapelo Cristiana Varchi gruppo auto mutuo aiuto Dire Basta,Ferrara Rete Antiviolenza FRIDA KAHLO Onlus Barcellona Pozzo di Gotto Centro antiviolenza Randi-Livorno Tiziana dal Pra centro antiviolenza telefono Rosa- Treviso Centro antiviolenza Ponte Donna Lazio Cav “Faderica Mangiapelo” di Anguillara Associazione Artemisia Gentileschi di Paola-Cosenza Centro antiviolenza di Macerata SOS Mirella Miroddi assistente sociale- Messina Ass. Prassi e ricerca, centro antiviolenza di Nettuno e di Anguillara Alfia Milazzo -Fondazione “La città invisibile”-Catania Associazione Mandem diritti civili e legalità- Salerno Associazione Punto D Bianca Rosa Onlus Verona Ass. First Social Life Ass.ne “IL LUME” O.D.V. Treia (MC) Bridget Ohabuche del Collettivo Afrofemministe In-visibili. Giuridicamente libereAssociazione Anemos-Varese Ass. Pink Project -Capo d’Orlando Ass. germoglio viola-Milano Ass. Punto a Capo Giovanna Ferrari Ilenia Pappalardo Giuliana Olzai- Lazio Caterina Turato Rosa Calipari Alessandra Fantin Giuliana Olzai Merita Cretella

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